Recanati città dell'Infinito

LORENZO LOTTO NELLE MARCHE
Itinerario

Conosciamo le opere di Lorenzo Lotto nelle Marche

Ben presto da Recanati la fama di Lorenzo Lotto si espande nella regione: la bellezza strabiliante del Polittico di San Domenico diffonde la fama della sua bravura.

Le città della Marca lo cercano e lui si muove per andare a definire contratti soprattutto per pale d’altare.

Oggi possiamo ancora ammirare nelle Marche 25 opere dell’artista, circa il 15% del suo catalogo a: Ancona, Cingoli, Loreto, Jesi, Mogliano, Monte S. Giusto, Recanati, Urbino.

In sintesi Lorenzo Lotto è così attestato dai documenti nelle Marche:

  • a Recanati dal 1506 al 1508 (presumibilmente tra fine 1508 e marzo 1509 si trova a Roma)
  • a Recanati, Loreto e Jesi tra 1510 e 1512
  • a Jesi nel 1523
  • è probabilmente a Monte S. Giusto nel 1529
  • Ancona (dove abita certamente nel 1534), Cingoli e Macerata tra 1533 e 1539
  • ad Ancona dal 1549 al 1552
  • a Loreto dal 1552 alla morte, avvenuta tra 1556 e 1557

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Itinerario delle opere di Lorenzo Lotto nelle Marche

Occorre organizzare la visualizzazione attraverso una cartina e cliccando si deve leggere testo abbinato alle immagini

Le opere di Lorenzo Lotto nelle Marche conservate in chiese e musei sono visitabili con il biglietto unico. Informazioni e modalità di visita: www.lorenzolottomarche.it

RECANATI – Polittico di S. Domenico (link alla pagina)

RECANATI – San Vincenzo Ferrer, Recanati Cattedrale, già nella chiesa di S. Domenico

1510-1512 circa affresco staccato e montato su tela 265 x 166 cm

Collocato originariamente sulla parete finale della navata sinistra della chiesa gotica di S. Domenico di Recanati, l’affresco – l’unico ad oggi conosciuto di Lotto nelle Marche – fu poi trasformato in pala d’altare e mutilato delle parti superiore e inferiore, dove era raffigurato, probabilmente, un paesaggio. Il dipinto fu descritto da Giorgio Vasari nel 1568.

San Vincenzo Ferrer è rappresentato con gli abiti dell’ordine domenicano nell’iconografia più ricorrente: ovvero a figura intera, con il braccio destro alzato a indicare l’Altissimo e recante sul braccio sinistro il libro con la frase tratta dall’Apocalisse (Ap.14,7). Il santo è isolato, poggia sulle nuvole sorrette da due angioletti mentre altri due trattengono con forza il voluminoso mantello nero: egli appare monumentale e con lo sguardo acceso, in atto di predicare per la salvezza dell’anima in attesa del Giudizio supremo.

Il dipinto è chiaramente influenzato dalle opere di Raffaello realizzate a Roma e vicino al medesimo soggetto dipinto intorno il 1510 da Fra Bartolomeo già in S. Marco e oggi alle Gallerie dell’Accademia di Firenze La maggior parte della critica è quindi concorde nel collocare l’opera dopo il soggiorno romano dell’artista ad oggi testimoniato da documenti di pagamento per le attività nelle Stanze vaticane nel marzo e settembre 1509.  Considerando la serie di presenze certe dell’artista nelle Marche tra il 1510 e il 1512, il San Vincenzo Ferrer potrebbe essere stato realizzato in tale periodo. 

Le indagini tecniche condotte nel 2010 testimoniano l’operato di un pittore accurato, intenzionato a svolgere a buon fresco la gran parte del lavoro, limitando al massimo le stesure a secco, senza l’aiuto di assistenti. Le immagini infrarosse hanno altresì evidenziato la presenza di un disegno sotto lo spolvero molto accurato, segno del trasferimento da cartone.

San Vincenzo Ferrer descritto da Giorgio Vasari (1568) e fonti successive

Dopo aver descritto meticolosamente il Polittico di san  Domenico, lo scrittore annotava che “è di mano del medesimo, in mezzo a questa chiesa, un San Vincenzo Ferrer frate, lavorato a fresco”. Due secoli dopo fu visto nel 1783 dall’abate Lanzi, che cosi lo descrisse: “… un S. Vincenzo a fresco lavorato quasi per ischerzo ove un suo scholaro dove dipingerlo in tela; è in atto di predicare levato sopra una nuvola da 2 angeli e nella politura del corpo e del vestito esprime veramente l’atto del volo e nel gesto e nel volto lo zelo della predicazione. Menzionato da Amico Ricci (1834) assieme alla Trasfigurazione non fu reputato di Lotto da Giambattista Cavalcaselle e Giovanni Morelli. Quest’ultimo, nei suoi Taccuini, cosi infatti descrisse l’opera il 19 maggio 1861: “Nella stessa chiesa al secondo altare a sinistra entrando, vedesi dipinto a fresco l’intera figura di S. Domenico sulle nuvole – con libro aperto in mano su cui leggesi: Timete deum et date illi honorem ecc – in alto gloria di angeletti – due angeli sostengono da ogni banda il manto nero del santo – due altri sorreggono le nuvole. Le ombre tratteggiate – non vi si mostra buon frescante –imitazione di Raffaello nell’angiolo a sinistra – pittura bene conservata – e disegnata egregiamente. Muro segato  altrove e traslocato al posto attuale”. È evidente che Morelli confuse San Vincenzo Ferrer con San Domenico. Pochi anni dopo, tra il 1892 e il 1893, Bernard Berenson con la sua compagna di viaggio e futura moglie Mary Costelloe videro l’opera: Mary la descrisse nei Diari di viaggio in modo molto dettagliato, notando la somiglianza dei putti che stringono il mantello del santo con quelli della Madonna Sistina di Raffaello e proponendo una datazione intorno il 1512.

JESI – Pala di S. Lucia

La straordinaria Pala di S. Lucia di Jesi commissionata nel 1523 dai confratelli dell’Ospedale intitolato alla santa e consegnata tra 1532 e 1533 quando Lotto operava a Venezia (Jesi, Pinacoteca Civica),  è incentrata sulla figura della giovane martire raffigurata secondo un’iconografia inconsueta che delinea la sua storia in un racconto che dalla predella arriva allo scomparto centrale per poi riconfluire di nuovo nella predella e che pone in primo piano il suo atto di fede e il rifiuto deciso all’idolatria. Invenzione straordinaria è a tale proposito quel dito sollevato da Lucia, contraddistinta nella pala dall’abito giallo e dal mantello rosso fiammeggiante, a dimostrazione della propria fermezza morale che si trasforma in fermezza fisica: la giovinetta diventa infatti rigida come una statua, impermeabile a qualsiasi tentativo di rimuoverla da parte degli uomini del giudice Pascasio, irremovibile nella sua posizione contro la pretesa di farle adorare gli dei pagani.

JESI – Angelo annunciante e Madonna annunciata

1526 circa Olio su tavola, 82 x 42 cm Jesi, Pinacoteca civica, Palazzo Pianetti

Il dittico dell’ Annunciazione di Jesi era parte, probabilmente, di un trittico il cui scomparto centrale prevedeva un perduto San Giovanni a Patmos, proveniente dalla chiesa francescana di S. Floriano dove si trovavano anche la Deposizione (cappella della Confraternita del Buon Gesù) e la Pala di Santa Lucia (Cappella della Confraternita di S. Lucia).

Le fonti d’archivio hanno permesso permesso di riconoscere l’opera come pala d’altare della famiglia Ghislieri di Jesi e anticamente posta al centro della parete di fondo della navata nella chiesa di S. Floriano. L’opera è datata nel 1526 circa ed è identificabile con una delle due “palle finite con li soi hornamenti seu hancone” che Lotto in una lettera del 12 Agosto 1527, comunica di avere spedito da Venezia nelle Marche: l’uso dei termini “hancone” e “hornamenti” era da riferirsi infatti a dipinti su tavola comprensivi di cornici e quindi ad opere come quella in oggetto. Non è da escludere che Lotto possa aver ricevuto la commissione il 22 aprile 1525 quando venne a Jesi per ricevere l’acconto della Pala di S. Lucia e averla inviata successivamente da Venezia.

Le figure emergono dall’oscurità, qui dettata dalla luce tenue che filtra dall’oculo della stanza della Vergine e da quella dell’uscio varcato dall’angelo: questi è sospeso nel volo e colto nel momento in cui, superata la porta, sta per posarsi a terra. Lo scambio di sguardi tra l’arcangelo colto di profilo e la Vergine, il fluttuare dei panneggi della veste celeste che si staglia nell’oscurità, il gioco sapiente dell’ombra dell’angelo sul pavimento, connotano l’intera scena di un’aura meditativa e coinvolgente. Entrando nei dettagli, spicca la resa materica e ma anche impalpabile dell’ala dell’angelo intrisa di luce dorata che rende perfettamente la sofficità delle piume.

  

MONTE SAN GIUSTO – Crocifissione

La monumentale Crocifissione di S. Maria in Telusiano di Monte San Giusto fu commissionata dal potente protonotario apostolico Nicolò Bonafede: si trova nel luogo per cui fu realizzata ed è tutt’ora dotata della straordinaria cornice lignea dorata e intagliata. Eseguita a Venezia e forse terminata a Monte S. Giusto, l’opera raffigura la visione della Crocifissione da parte del committente inginocchiato sulla sinistra, intento a fissare il gruppo dei Dolenti; un angelo con il gesto delle braccia invita il Bonafede a meditare sul sacrificio della Croce; la Maddalena disperata allarga le braccia conferendo una profondità a tutta la scena e nel contempo creando un gioco di colori con gli abiti della Madonna svenuta e di San Giovanni dal mantello rosso fuoco, di eccezionale intensità. L’intreccio di personaggi e di sguardi in primo piano guidano l’occhio verso la scena in alto raffigurante la morte di Cristo in croce con i due ladroni, immersa in un cielo scuro e minaccioso. Nel dipinto Lorenzo Lotto ha dato vita alla tragedia del Golgota in una maniera assolutamente nuova per l’arte rinascimentale. Nelle Marche il dipinto ebbe una vasta eco e fu oggetto di copie e derivazioni.

ANCONA- Madonna con il Bambino e i santi Stefano, Giovanni evangelista, Simone Zelota e Lorenzo detta Pala dell’Alabarda

1538-1539 Olio su tela, 294 x 216 cm. Ancona, Pinacoteca civica “F. Podesti”

 

Giorgio Vasari descrive l’opera nella seconda edizione delle Vite come “una tavola posta a mezzo davanti all’altare maggiore” della chiesa di S. Agostino (1568). Nel 1749 lo storico anconetano Camillo Albertini la vede ancora lì ma già nel 1777 Marcello Oretti ricorda il dipinto nel palazzo della nobile famiglia Ferretti del ramo di S. Domenico, dove fu trasferito, probabilmente, in seguito al rifacimento della chiesa di S. Agostino su progetto di Luigi Vanvitelli, tra il 1750 e il 1764.

Il dipinto fu poi trasferito nel 1884 nella neocostituita pinacoteca comunale presso la chiesa di S. Domenico, fino ad essere collocato nel Palazzo degli anziani (1950) e poi nell’attuale sede della pinacoteca presso Palazzo Bosdari.

La pala, il cui significato è strettamente connesso con fatti storici accaduti ad Ancona (vedi più avanti),  è ben documentata: nel 1991 infatti fu rinvenuto presso l’Archivio di Stato di Ancona e poi pubblicato il contratto di commissione che confermò la datazione già proposta da parte della critica mettendola in relazione alla Madonna del Rosario di Cingoli. Il contratto per la pala fu rogato il 1 Agosto 1538 nella chiesa di S. Agostino su commissione di Simone de Giovannino Pizoni, cittadino di Ancona e parente del Protonotario Apostolico Giovanni M. Pizoni di cui Lotto nello stesso anno esegue il ritratto. Nel contratto è descritta nel dettaglio l’iconografia del soggetto che prevedeva, oltre la Madonna con il Bambino, santo Simon Giuda, San Giovanni evangelista, santo Stefano e san Lorenzo,  la rappresentazione dello Spirito santo nella lunetta (“in frontespitio”), la predella con le Storie di Sant’Orsola  e il suo corteo e stemmi (“duo arma”), della famiglia Pizoni; è indicato anche il compenso di 80 scudi .

L’opera segue lo schema della Sacra Conversazione ma in modo differente rispetto le rappresentazioni più vivaci, sia sotto il profilo formale che cromatico, del periodo bergamasco. Nella pala di Ancona infatti l’impostazione è semplificata, l’atmosfera è rarefatta, frutto dell’uso di colori più smorzati e dei contrasti tra le zone illuminate e quelle in ombra. Contemporaneamente nell’opera si avverte un  moto circolare dettato dal rimando tra gli sguardi dei vari personaggi: la Madonna è assisa al centro in trono e ha lo sguardo rivolto verso il basso avvolta in un manto azzurro e sia lei che il Bambino, rappresentato mentre si dimena sulle ginocchia della madre, ricordano gli analoghi soggetti della pala di Cingoli.  La luce di un tardo pomeriggio, quasi serale, entra da due grandi aperture che lasciano intravedere il colonnato di un palazzo alle spalle del trono e si posa prima sui due angeli in volo e poi sulla scena sottostante, creando degli straordinari effetti chiaroscurali, da quelli sulla morbida manica destra della veste di santo Stefano al gioco tremulo delle ombre delle sagome dei personaggi sui gradini – uno dei quali reca la firma in corsivo dell’artista – della sottofinestra su cui poggia il trono, che ci fa capire che la scena è ambientata in un palazzo signorile della città.

 

CINGOLI – Madonna del Rosario

Nel 1539, dimorante nelle Marche, Lorenzo Lotto esegue per Cingoli una delle sue ultime monumentali pale d’altare, la Madonna del Rosario con i quindici Misteri una tela eseguita su commissione della locale Confraternita del Rosario che aveva sede nella chiesa di San Domenico. Ricca di riferimenti iconografici ai modelli rosariani tedeschi, l’opera è una esaltazione della devozione mariana assai diffusa nelle Marche anche prima della Controriforma e dei santi dell’ordine domenicano. Il dipinto una volta visto è indimenticabile per il giocoso particolare degli angioletti in primo piano che gettano petali di rose tratti da una cesta di vimini, nel contempo oggetto d’uso quotidiano e documento di questa secolare tradizione artigianale nel territorio e per l’affascinante figura di Maria Maddalena, riccamente abbigliata, e forse identificabile, come vuole la tradizione locale, con Sperandia Simonetti, nobildonna cingolana. 

 

LORETO – Nucleo di opere presso Pinacoteca di Palazzo apostolico

Le opere dell’estrema maturità di Lorenzo Lotto sono conservate nelle Marche, nella Pinacoteca del Palazzo Apostolico di Loreto dove l’artista decise di trascorrere in solitudine gli ultimi anni della sua vita tormentata tra l’adesione alla fede cattolica e la conoscenza anche diretta dei principi della luterana: molti amici del Lotto furono infatti coinvolti nei processi da parte del Tribunale dell’Inquisizione. A Loreto, accanto al “San Cristoforo tra i santi Rocco e Sebastiano” del 1535 circa, figurano opere degli anni ‘40 come il “Cristo e l’adultera”, il tardo ”San Michele Arcangelo che scaccia Lucifero” fino alla  struggente e inquietante “Presentazione al tempio”, lasciata interrotta per il sopraggiungere della morte, avvenuta tra 1556 e il 1557. Di quest’ultima opera il Berenson scrisse: “Il Lotto non ci ha mai dato un’opera più meravigliosa, dal punto di vista psicologico: ed altrettanto si può dire della sua materia pittorica, usata con una modernità che richiama certi modi degli impressionisti…E’ insomma uno dei capolavori del Lotto, e forse una delle pitture più “moderne” dipinte da un pittore del Rinascimento”.

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